martedì 11 maggio 2010

Marco Videtta, autore di "Un bell'avvenire" (ed. E/O)

Marco Videtta, sceneggiatore affermato, e già autore di NORDEST (Ed. E/O) con Massimo Carlotto, ha pubblicato di recente uno splendido romanzo, "Un bell'avvenire" (Ed. E/O). Dopo averlo conosciuto alla finale del Premio Azzeccagarbugli 2009, abbiamo fatto questa chiaccherata, che vi riporto.


A un romanzo io chiedo di farmi riflettere sul tempo che viviamo. A un narratore di essere consapevole del suo ruolo di testimone dei tempi. Per questo mi è piaciuto molto questo romanzo. Un romanzo che racconta la genesi della nostra repubblica, a partire dalla fine del regime fascista, e gli italiani, che in fondo, da allora, non sono granchè cambiati. Se oggi, politicamente, stiamo come stiamo, è perchè così eravamo. Questa la sensazione generale. Che ne pensi?

Sono assolutamente d’accordo ed è proprio questa riflessione che mi ha spinto a indagare sul nostro recente passato ed in particolare su un momento cruciale della nostra storia: il passaggio dal fascismo alla repubblica, sancito dalle elezione del 1948. Un passaggio epocale, in cui non vi fu trasparenza. All’interno delle istituzioni (polizia, magistratura) molti ex fascisti con gravi responsabilità alle spalle, furono addirittura invitati a riciclarsi. Ciò accadde per una precisa volontà politica perché il mondo era già scivolato dentro la Guerra Fredda e al nostro paese fu negata, da forze interne ed esterne, l’occasione di una completa autodeterminazione. La repubblica ha cominciato a perdere il senso della verità fin da allora e vi ha definitivamente rinunciato dalla strage di Piazza Fontana in poi.


Fulvio è la voce parlante del libro, ed è sempre cresciuto nel mito del fratello maggiore, che lo ha

trascinato prima ad abbracciare il fascismo (l'Idea, la Rivoluzione ..) e poi ad arruolarsi volontario per andare in guerra. Da dove nasce l'idea di scrivere questa storia?

Il romanzo nasce da una storia vera, che è quella della mia famiglia su cui aleggiava il tabù di uno zio fascista repubblichino, morto in circostanze misteriose nei giorni immediatamente successivi alla Liberazione del 25 aprile ’45. Ho scavato a fondo su questo tabù, entrando in possesso degli atti del processo alla banda Koch, un famigerato reparto di SS italiane. Gli atti di questo processo, che fu celebrato nel 1944 e quindi in piena Repubblica Sociale, sono tuttora in parte secretati. A proposito di verità e trasparenza: come mai verbali che riguardano vicende di 65 anni fa sono ancora interdetti alla pubblica consultazione?


I rastrellamenti, la lotta ai Partigiani, fino all'8 settembre, l'armistizio, la confusione, la tragedia. Fulvio

è un fascista nient'affatto pentito, pervaso da un senso di sconfitta, di ingiustizia. Un personaggio scomodo, difficile. Come ci hai lavorato?

Non è stato semplice cercare di identificarsi in un personaggio intriso in un’ideologia completamente distante da me e da quello che sono. La chiave credo sia stata la giovinezza e l’ingenuità del protagonista, un ex entusiasta deluso e sballottato dagli eventi. Fulvio è un ragazzo che si è fatto trascinare e che, quando finalmente si pone delle domande che prorompono dalla propria emotività e da una profonda sofferenza, inciampa in un abisso di mezze verità, in personaggi che fanno dell’ambiguità il loro mezzo di sopravvivenza. Quando alla fine riesce a scoprire la verità sulla morte del fratello, capisce che il suo sforzo non è servito a niente, che il problema sta da tutt’altra parte. In questo senso credo che “Un bell’avvenire” sia, oltre che un noir a sfondo storico, un romanzo di formazione. Il protagonista cresce in consapevolezza, pagando il prezzo di un’amara disillusione, sul passato e sul futuro.


Atmosfera torbida, meschinità, opportunismo, autoriciclaggio: tutto molto italiano?

Direi che ogni paese abbia il suo lato oscuro. Basti pensare agli ex nazisti riciclatisi nelle istituzioni e nella burocrazia delle due Germanie post-belliche. O ai segreti mai svelati dei paesi che hanno governato il mondo negli ultimi sessant’anni, come gli USA e l’ex Unione Sovietica. Omicidi politici gravissimi e destabilizzanti sono ancora avvolti nel mistero. Si direbbe che tutti i grandi cambiamenti siano stati inquinati e deviati da interessi politici ed economici più o meno occulti. L’Italia ha mostrato una particolare vocazione per l’opportunismo e il servilismo, caratteristiche che affondano nelle radici della storia nazionale, a cominciare dalla forte ingerenza della Chiesa cattolica nelle vicende politiche.


Questo è il tuo primo romanzo solista. Con Massimo Carlotto avevi scritto il bellissimo “NordEst”.

Ci puoi descrivere cosa cambia per uno scrittore tra il lavorare in solitaria e lo scrivere a quattro mani?

Con Carlotto abbiamo lavorato in perfetta armonia, adottando un metodo di lavoro simile a quello della sceneggiatura cinematografica: lunghe discussioni improntate ad una schietta dialettica, fino al raggiungimento di una struttura narrativa comune. Viceversa la scrittura solitaria ti lascia naturalmente tutti i margini di libertà possibili, sei tu e tu solo il manovratore. Però comporta un’immersione dentro te stesso da cui è molto faticoso riemergere. Personalmente amo il lavoro in collaborazione e, per la mia personalità, è importante alternarlo con quello in solitudine.


"Lo scrittore deve raccontare le mille storie alternative a quella che ci raccontano ogni giorno", dicevano più o meno i Wu Ming. Che ne pensi?

Soprattutto uno scrittore deve raccontare ciò che conosce molto bene, non può bluffare, altrimenti il lettore sente subito puzza di mistificazione. Quanto ai Wu Ming, ammiro il loro lavoro, in particolare “Q”, e sono d’accordo sul fatto che la letteratura, oggi in Italia, ha il compito di “creare coscienza”, lì dove gli altri media tendono in linea di massima ad offuscarla.


A cosa stai lavorando adesso?

Attualmente sto lavorando all’adattamento televisivo di un mistery francese e ad un mio cartone animato, che è uno spazio di libertà creativa fantastico. Ho poi in mente un progetto letterario piuttosto impegnativo che temo mi prenderà molto tempo. Infine, non escludo una nuova collaborazione con Carlotto.


Un autore o un libro che ami alla follia.

“Underworld” di Don De Lillo, “Cecità” di Saramago, e naturalmente la quasi totalità della produzione di Massimo Carlotto.


Quali sono le prime cose che ricordi di aver letto, da bimbo proprio, e ti hanno affascinato?

Credo di avere cominciato a leggere romanzi alle scuole medie. Avevo un professore tostissimo che ci impose la biblioteca di classe e la lettura di almeno un libro al mese. Non ricordo quale fu il primo che lessi. Ma di sicuro rimasi folgorato da “L’uomo invisibile” di H.G. Wells e da “L’isola del tesoro”.


La prima cosa che hai scritto e che hai fatto leggere a qualcuno, e cosa ti hanno detto.

Al liceo andavo sempre al cinema e su un quadernetto scrivevo le “mie” recensioni. Andai avanti così per anni e con quel quadernetto mi presentai all’università per chiedere la tesi. Il bello è che il professore lo lesse e ne fu entusiasta. Scrissi la tesi che diventò un saggio dal titolo “La fuga impossibile”. L’argomento era il mito del viaggio nella letteratura e nel cinema americano, che mi dicono sia stato letto da molti cineasti italiani. Ne sono molto orgoglioso, anche perché avevo 22 anni, più o meno l’età in cui Fulvio, il protagonista di “Un bell’avvenire”, parte volontario per la Russia…


Che musica ascolti? E mentre scrivi?

Sono un grande appassionato di musica. Non c’è giorno che non ne ascolti. Ho una predilezione per il rock inglese, la black music e il jazz anni ’60. E posso aggiungere che so eseguire alla chitarra e voce l’intero repertorio dei Beatles… Amo troppo la musica per utilizzarla come sottofondo. Tendo a separare la scrittura dall’ascolto dei miei favourites. Solo in momenti particolari metto in loop un brano particolarmente in assonanza con quello che sto scrivendo, per avvolgermi in una “cornice sonora” che mi isoli dal resto del mondo.

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